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                       [Cecilia]
                    “Ritorno a quando ero piccola, alla fine del primo anno della scuola primaria, quando ho
                 fatto la mia prima gara di nuoto. Era una gara di fine corso, niente di speciale, ma per me è
               stato un momento che, ricordandolo anni dopo, ha saputo regalarmi grandi fonti di ispirazione
              per la mia carriera. Per la prima volta mi tuffavo in acqua come piccola atleta, con il costume nuovo
             e tanta voglia di far vedere ai miei genitori e a mio fratello, più grande di me, quanto avevo imparato:
           ero curiosa di sapere come sarebbe andato quel 25 metri dorso che all’epoca mi sembrava così lungo
          e importante! Al via sono partita assieme alle altre bambine e ho nuotato più veloce che potevo, fino a
          giungere all’arrivo senza più energie. Avevo dato proprio tutto.
          Risalendo dalla vasca, chiesi al mio istruttore come fossi arrivata e lui mi disse che mi ero classificata ulti-
          ma. Non ricordo bene se prima arrivò la rabbia o la delusione, ma passai cinque minuti di vero dispiacere,
          pensando alla mia figuraccia, a cosa avrebbero potuto pensare i miei genitori e alla delusione di aver fatto
          uno sforzo così grande senza poi ottenere niente. Già nella mia testa di bambina l’arrivare ultima si era
          connotato di tanti aspetti negativi. Il mio istruttore era, al contrario, molto tranquillo e mi diede una meda-
          glia, un po’ diversa dalle altre che aveva dato alle bambine arrivate sul podio. Quella, mi disse, non era una
          medaglia data per compassione e nemmeno un premio che indicava che avevo vinto: era una medaglia
          che lui mi dava perché durante quella gara aveva visto in me un atteggiamento da premiare perché io
          avevo messo tutta la costanza e l’impegno che possedevo in quella situazione competitiva. Secondo lui,
          queste due qualità mi avrebbero premiato sempre, indipendentemente dal fatto che fossi arrivata prima
          o ultima.
          Quel giorno non mi resi conto del grande significato di quel gesto e misi la medaglietta in un cassetto.
          La ritrovai anni dopo, poco prima di partire per le paralimpiadi di Londra 2012 e la portai con me come
          portafortuna, augurandomi di vivere quelle gare esattamente con quello spirito di fondo. Questo di-
          mostra quanto può fare un istruttore per educare un bambino già dal primo approccio allo sport. Lo
          sport, dunque, mi ha insegnato a dare importanza all’impegno, più che al risultato.”

























                                                  Ti consigliamo una lettura!


                                                  Campriani, N. (2017).
                                                  Ricordati di dimenticare la paura.
                                                  Cosa fa di un atleta un uomo felice.
                                                  Milano: Mondadori.






          CECILIA CAMELLINI • Psicologa, Ex nuotatrice, Campionessa paralimpica
          FRANCESCA VITALI • Psicologa dello sport, Ricercatrice Università degli Studi di Verona




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